Sunday, February 15, 2009

Articolo Su Panorama- Per Sentire Chiaro e Forte

Un'amica mia mi ha ritagliato questo articolo dal giornale Panorama del 12 Febbraio...molto interessante! Nb. Per chi è interessato nel libro di Sandro Burdo, potete informarvi qui:
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Per sentire chiaro e forte

CLAUDIA BOSELLI

Sordità Oggi chi ha problemi di udito può contare su tecnologie all’avanguardia: un impianto cocleare o apparecchi acustici multimediali. Intanto la ricerca chiarisce le cause genetiche. E nuove speranze vengono dalle cellule staminali.


Teatro Antoniano, Bologna, ultima edizione dello Zecchino d’oro (novembre 2008): tra i bambini presenti ci sono Filippo, Lisa, Giulia, Matilde e Francesca. Cinque piccoli spettatori, dai 6 ai 12 anni, nati sordi, che possono seguire la gara canora distinguendo bene la musica e il canto perché tutti portano un impianto cocleare.

L’«orecchio bionico» non è l’unica conquista della tecnologia nel campo della sordità. Anche le protesi acustiche, per chi ha problemi di udito da lievi a medio-gravi, hanno subito un’evoluzione: sia dal punto di vista tecnico, ora sono miniaturizzate e personalizzate, sia estetico, perché riproducono perfettamente le sfumature della pelle e il colore dei capelli. Di pari passo è aumentata la conoscenza sulle cause della sordità: fino a vent’anni fa erano sconosciute nel 75 per cento dei casi, oggi solo nel 20 per cento; e si sa che nel 50 per cento dei casi noti c’entrano i geni.

Tra i progressi c’è la diagnosi precoce: i moderni test di funzionalità uditiva individuano la sordità congenita nei primi due-tre giorni di vita. In futuro la ricerca punta su due approcci: la possibilità di sostituire la sequenza di dna alterata, quando la sordità ha base genetica (terapia genica), o di trapiantare cellule staminali (medicina rigenerativa).

«Le cellule ciliate esterne e interne della coclea, nell’orecchio interno, sono come piccoli microfoni: trasformano l’energia meccanica del suono in impulsi elettrici inviati al nervo acustico, permettendo di sentire suoni e rumori, voci e musica» spiega Sandro Burdo, responsabile di audiovestibologia nell’ospedale di Circolo di Varese. «Si è scoperto che il vero recettore sono le ciliate interne. Sono esse che ci fanno sentire, mentre le esterne facilitano l’ascolto».

Così la tecnologia si è adeguata. «Le ultime protesi digitali, minicomputer acustici, non solo amplificano il suono ma fanno le veci delle cellule ciliate esterne compromesse, e consegnano a quelle interne il suono» riferisce Burdo. Sono bilaterali e interagiscono: funzionano come il muscolo dell’occhio quando mette a fuoco l’immagine (sintonizzazione) e localizzano la sorgente del suono (stereofonia). Un’ulteriore sofisticazione: è stato messo a punto un apparecchio acustico multimediale che riceve direttamente telefonino, musica dell’iPod, suoni del pc, stereo e tv. Una vera e propria centrale d’ascolto.

«I dispositivi digitali oggi possono essere completamente impiantabili» precisa Maurizio Barbara, otorinolaringoiatra alla Sapienza di Roma. «I risultati dipendono dalla selezione dei pazienti, ma ciò che cambia è la qualità della vita, con minori disagi nella gestione del dispositivo e delle attività quotidiane».

In un modello la batteria è ricaricata un’ora al giorno, nell’altro ha una durata variabile da 4 a 7 anni, a seconda dell’uso. Dopo va sostituita (in anestesia locale). «I rischi sono quelli di una chirurgia tradizionale dell’orecchio» precisa Barbara. «Altra novità sono le protesi semimpiantabili, indicate in persone colpite da infiammazione dell’orecchio che hanno ottenuto scarsi risultati con la chirurgia tradizionale».

Nei sordi profondi le cellule ciliate della coclea sono perdute o danneggiate. Come aggirare l’ostacolo? Aggirandole e stimolando direttamente il nervo acustico: così funziona l’impianto cocleare, indicato nei bambini con sordità congenita e negli adulti in cui la protesi è inefficiente a causa della gravità del danno. L’impianto cocleare ha una parte esterna (processore e sistema di collegamento), una interna (ricevitore-stimolatore) e un numero di elettrodi interni (fino a 22) che varia caso per caso.

I nuovi modelli hanno il processore esterno più piccolo, dietro l’orecchio, e il segnale è veloce quasi come quello naturale del nervo acustico.

Altra novità: sono inseriti in entrambi gli orecchi e simultaneamente. Secondo dati presentati all’ultimo congresso della Società italiana di otorinolaringologia e chirurgia cervico-facciale (Sio), i vantaggi sono molti. «Innanzitutto quello dell’ascolto incidentale: il bambino guarda la tv e riesce a sentire ciò che la madre gli dice da un’altra stanza, o è in grado di seguire la radio anche in un ambiente rumoroso» sottolinea Burdo. Il doppio intervento aumenta i rischi generali e dell’anestesia perché dura di più. «A mio avviso, tuttavia, questo rischio è inferiore a quello di una seconda anestesia, come accade nelle applicazioni sequenziali».

Il procedimento standard prevede una fase preparatoria: si applica una protesi acustica, poi il bambino è seguito da un gruppo multidisciplinare, con logopedisti e pedagogisti, per aiutarlo a comunicare. Dopo 8-9 mesi l’intervento. Segue la fase riabilitativa per scoprire il mondo dei suoni e della parola: dura circa tre anni per un bambino nato sordo, un anno e mezzo per un adulto con sordità acquisita. L’intervento va eseguito da mani esperte. Un’indagine cui hanno partecipato 27 centri europei, apparsa su Ear & Hearing, ha concluso che l’affidabilità degli impianti è soddisfacente e che le rotture riscontrate nel 2007 (488 casi su 12.856) dipendevano dal tipo di materiale: ceramica anziché titanio. Su quattro produttori, nel 2004 uno solo usava il titanio, oggi sono tre.

E la svolta prospettata anni fa dagli esperti, ossia l’impianto cocleare completamente interno? L’entusiasmo sembra smorzato. Robert Briggs dell’Università di Melbourne lo ha sperimentato in tre adulti con sordità da severa a profonda. Lo studio (l’anno scorso in Otology Neurology) evidenzia risultati minori rispetto all’impianto tradizionale. «Era un prototipo, non è in vista la commercializzazione» avverte Briggs.

Speranze vengono anche dalla genetica. In metà circa dei casi di sordità congenita, infatti, le cause sono anomalie nei geni che codificano per le connessine C26 e C30, proteine che regolano la comunicazione tra cellule. Fabio Mammano dell’Istituto veneto di medicina molecolare di Padova (in collaborazione con i National institutes of health americani) ha utilizzato un virus di origine bovina (Baav) come vettore per indagare il coinvolgimento di questi geni. I risultati della ricerca (cofinanziata da Telethon) sono apparsi sui Pnas lo scorso dicembre. «Abbiamo avviato uno studio sul trasferimento di questi geni non alterati nell’orecchio interno di topi sordi, perché mancanti dell’una o dell’altra proteina» informa Mammano. E i test sull’uomo? «Fino a quando non avremo un riscontro positivo ripetibile nel topo non è possibile azzardare ipotesi».

C’è chi punta, infine, sulle staminali. Le cellule ciliate dell’orecchio umano, a differenza di quelle di pesci, anfibi e uccelli, non hanno la capacità di rigenerarsi. «La scoperta, a metà degli anni 80, che gli uccelli possono generare nuove cellule ciliate, recuperando l’udito, ha stimolato nuovi studi» ricorda Alessandro Martini, audiologo all’Università di Ferrara. Nel 2003 Stefan Heller della Stanford University, Palo Alto (California), individuò staminali nell’orecchio interno del topo adulto, e verificò in vitro che era possibile trasformarle in cellule ciliate. In seguito ottenne lo stesso risultato trapiantando staminali nell’orecchio di embrioni di pollo.

In Italia, il gruppo di Martini, in collaborazione con Roberto Revoltella del Cnr di Pisa, ha iniettato cellule staminali del cordone ombelicale umano nella coda del topo. Secondo i risultati (su Cell transplantation, regenerative medicine journal), le cellule arrivano alla coclea, vi si integrano e ne ricostruiscono l’architettura. «Dopo due mesi i potenziali evocati, che registrano la reazione allo stimolo, sono migliorati» afferma Martini. «Vari i punti ancora in discussione: se convenga utilizzare cellule staminali embrionali o adulte, come si differenzino in uditive, quale sia la via migliore per introdurle».

Date le piccole dimensioni e la difficile accessibilità della coclea, occorre trovare il mezzo più idoneo e sicuro che trasporti all’interno farmaci, geni o staminali, favorendo la rigenerazione delle cellule ciliate. Thomas Lenarz, a Hannover, Germania, e ricercatori al Bionic ear institute di Melbourne, Australia, stanno sperimentando su cavie di laboratorio un minielettrodo per l’infusione di fattori di crescita.

Ma la ricerca guarda ancora più in là, alle nanotecnologie, materiali migliaia di volte più piccoli di un capello. In Italia, da un paio d’anni, il centro di Ferrara collabora al progetto europeo NanoEar, per produrre e utilizzare nanoparticelle: l’aspettativa è che, una volta diffuse nella coclea, siano in grado di agire solo su cellule prescelte.

La medicina rigenerativa crea grandi aspettative, nel mondo scientifico e nei pazienti, ma la prudenza è d’obbligo. «È ancora difficile prevedere quando e come la terapia genica e le cellule staminali potranno trovare applicazione clinica. Le prospettive sono promettenti. Forse potrebbero diventare realtà nel giro di 5-10 anni» ipotizza Martini.

7 comments:

Anonymous said...

necessita di verificare:)

Anonymous said...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonymous said...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonymous said...

quello che stavo cercando, grazie

Anonymous said...

imparato molto

Anonymous said...

imparato molto

Anonymous said...

Perche non:)