Si tratta di due storie parallele per il fenomeno della difficoltà a pronunciare il fonema K, per la contemporaneità nella soluzione del problema e per la stessa età dei due soggetti interessati, circa sette anni.Il parallelismo si interrompe solo in merito alle cause che avevano determinato la situazione del cappacismo.
Nel caso del soggetto B…. la causa era dipendente da grave sordità, da mancanza di adeguato feedback uditivo per tale fonema. Nel caso del soggetto G…. non vi era alcuna causa che potesse realmente impedire la pronuncia della detta consonante K oltre quella di una viziata e protratta situazione sin dalla prima infanzia senza le necessarie sollecitazioni che naturalmente si ritrovano nei primi tre anni di vita.Il caso più problematico è stato certamente quello di B….. per effetto della sordità, però aggiungerei anche per un ritardato intervento di logopedia nel modo più adeguato.
Secondo la consolidata consuetudine di non tirarci mai indietro davanti alle varie difficoltà, è stato intrapreso un lavoro di educazione linguistica che potesse garantire il meglio per una corretta pronuncia corredata da un’adeguata intonazione vocale e da appropriato ritmo discorsivo.E’ stato svolto un programma che progressivamente ha portato l’allieva a notevoli risultati, grazie alla sua volontà di apprendere, al suo intuito ed alla voglia di recuperare gli spazi perduti relativi all’allenamento acustico, alla discriminazione sonora, ad una normale chiarezza del parlato.
C’era però uno scoglio che pareva insormontabile, quel kappacismo che impediva la pronuncia del fonema K. Occorre sottolineare che, oltre alla sordità, era mancato un intervento precoce tale da evitare una situazione di consolidamento viziato. Ne conseguiva una notevole difficoltà nella dinamica della relativa articolazione, che prevede una decisa occlusione della zona velare, cui segue la relativa apertura esplosiva per la pronuncia del fonema sillabico Ka.
Di per se stessa l’occlusione velare non presenterebbe notevoli difficoltà motorie dell’organo linguale (se si fa caso, la zona velare si occlude senza difficoltà anche con la lingua in posizione distesa, con la parte terminale verso la zona gengivale inferiore: provare per credere). L’accanimento non è stato mai il mio punto debole, ho sempre agito con la dovuta cautela, fiducioso che comunque sarebbe arrivato il risultato tanto atteso.I genitori erano preoccupati e impazienti, tentarono altri percorsi per averne spiegazioni, per recuperare quel Ka ostinato.
In un centro di particolare rilievo dissero che occorreva un intervento sul frenulo linguale. La mia preoccupazione e sollecitazione fu quella di scongiurare un trauma dannoso dell’intervento che avrebbe peggiorato la motilità linguale, senza pensare alle conseguenze psicologiche della stessa bambina.Trascorsero alcuni mesi con una notevole crisi di coscienza dei genitori quando, un bel giorno, riprovando con i soliti stimoli per la pronuncia del fonema in argomento, venne fuori con perfetta dizione il tanto atteso KA.
Lo afferrai subito quasi per non farmelo sfuggire, lo consolidammo con alcuni esercizi e quindi dissi alla bambina di recarsi dal padre che nel frattempo aspettava in macchina leggendo il suo giornale, di avvicinarsi al suo orecchio come per dirgli qualcosa e di pronunciare un poderoso KA. Subito dopo, la bambina tornò in braccio al suo papà che in quel momento aveva quel nodo alla gola e quelle lacrime che non ti permettono neppure di dire un semplice grazie.Fu una festa ed una grande gioia per tutti, eravamo tutti commossi.
Per il soggetto G….. furono sufficienti alcuni esercizi di recupero in quanto non vi erano condizioni di alcun genere che ne potessero ostacolare il buon esito. Si trattava solo di una situazione viziata affrontata in tempo prima che si consolidasse uno stato di consuetudine protratto più avanti nell’età.
- Alfredo Barbaro
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