Monday, November 26, 2012

Il Linguaggio Pragmatico: "Io comunico, quindi, io esisto"


Il problema della socializzazione e la terapia comunicativa integrata nella riabilitazione logopedica per audiolesi

Buongiorno a tutti, mi chiamo Nicola.

Voglio innanzitutto ringraziare l’organizzatore dell’evento, il presidente Domenico, che gentilmente mi ha invitato a questo incontro, cosa che mi ha fatto molto piacere. Vorrei sottoporVi un problema che dovrebbe interessare in particolare i genitori e tutti i portatori di impianto cocleare e protesi acustica. Per renderlo più chiaro, vi faccio degli esempi.
Immaginate un neonato: tutti sappiamo che l’infante non può comunicare con la parola ma può farlo, ad esempio, con il tatto. Quando il neonato vede un bicchiere, lo tocca e sente qualcosa di diverso. Nel suo subconscio, comincia a riconoscere qualcosa che è diverso da sé. Egli comincerà a dirsi: “se posso toccare il bicchiere, allora il bicchiere esiste; e allora, anch’io esisto”. Quindi, più occasioni di contatto si verificano per il neonato, più accrescerà la percezione della propria esistenza. Ancora meglio, più saranno i legami creati con il mondo, attraverso le varie forme di comunicazione che nella vita imparerà ad utilizzare (compresa la parola), più il neonato “esisterà”.

Io comunico, quindi, io esisto.

Siamo al bar, c’è abbastanza rumore e confusione. Mario è un ragazzo di 16 anni, portatore di impianto cocleare e ha già sviluppato brillantemente il suo linguaggio, quasi al pari di quello di un normoudente. In quel momento, Mario si trova seduto ad un tavolo insieme ad un gruppo di amici. Ad un certo punto, i suoi amici si mettono a ridere e lo fanno con così tanta gioia che è impossibile non sorridere davanti a quella scena. Mario non ha potuto seguire quello che si sono appena detti ma, in compenso, ciò che ha visto gli ha fatto piacere ed anche lui tira fuori un bel sorriso. Avrebbe voluto chiedere a Gianni, il ragazzo al suo fianco, quello che si sono detti ma non lo fa per non far perdere e frenare l’entusiasmo della conversazione. Passano 2 minuti e Mario nota che uno dei suoi amici sta dicendo una cosa e, tra la lettura del labiale e l’ascolto, riesce a catturare queste parole: “concerto”, “di corsa”, “tizio”. Immediatamente dopo, uno di loro replica sorridendo con una frase pronunciata molto velocemente, gli altri amici colgono il suo messaggio e subito dopo si mettono a parlare tutti insieme dello stesso argomento.

Mario, spinto dal desiderio di voler capire e di voler trasmettere qualcosa, interrompe bruscamente la conversazione ed esordisce sorridendo con questa domanda: “MA COM’E’ ANDATO IL CONCERTO?”. Gianni e gli altri suoi amici si girano, lo fissano per un secondo e subito dopo Gianni, consapevole del problema di Mario, gli spiega chiaramente che non c’è stato nessun concerto e che stavano parlando di tutt’altra cosa. Nel frattempo, gli altri amici si girano e vanno avanti con la loro conversazione.
Passa un giorno e ci troviamo al parco, c’è un silenzio particolare, quasi piacevole. Mario si trova con Gianni, Alberto e Federico, per il fantacalcio: devono definire le formazioni dei calciatori, in vista delle imminenti partite di serie A. Mario capisce di cosa stanno parlando in quel momento e collabora con la scelta dei calciatori. Subito dopo aver definito le schede, Alberto racconta un episodio avvenuto durante la sagra del tartufo bianco a Cusercoli, vicino a Forlì. C’era molta gente all’interno dello stand, era l’ultimo giorno di sagra e lui aveva ordinato i ravioli al tartufo bianco pregiato. Quando arrivò il piatto, scoprì che c’erano pochissime tracce di tartufo ed aveva fatto notare che le scorte erano quasi esaurite! Mario capì il filo del discorso, stava pensando a cosa dire in merito all’argomento della conversazione ma, in quel preciso istante, Gianni inizia a parlare e dice che il tartufo bianco, da quelle parti, dev’essere particolarmente buona e che in quella sagra non ci è mai andato. Alberto e Federico, puntualmente, spiegano a Gianni che quella di Cusercoli è una delle sagre più famose della regione dell’Emilia Romagna. La fanno una volta all’anno e ci si deve assolutamente andare. Mario aveva capito tutto quello che i suoi amici stavano dicendo e, nonostante ciò, è rimasto in silenzio per tutta la durata della conversazione, non per disinteresse e nemmeno per ignoranza. Ad un certo punto Alberto, esclama dicendo: “ragazzi devo scappare, mia mamma mi aspetta per il pranzo!” e così, nel giro di qualche decina di secondi, i ragazzi si salutano e tornano ciascuno a casa propria.

Mario, per quanto avrebbe voluto essere partecipe nelle conversazioni al bar ed al parco, per un motivo o per l’altro, è stato il ragazzo che ha comunicato di meno fra tutti i presenti. Facendo riferimento all’esempio del neonato, Mario è stato quello che non è riuscito a trasmettere come avrebbe voluto, la propria “esistenza”.

Io credo che tra i presenti in questa sala, c’è qualcuno che può, in qualche modo, riconoscersi in Mario.


Mi rivolgo, in particolare, a ragazzi ed adulti portatori di impianto cocleare e/o protesi acustica e faccio loro queste domande: noi siamo molto abituati a parlare davanti ad una sola persona.

Quante volte nella vostra vita vi siete chiesti che cosa dire di fronte ad un gruppo di vostri amici? Quante volte avete passato le vostre serate in compagnia di normoudenti, sentendovi emarginati ed esclusi per gran parte del tempo? Vi siete mai chiesti, quanto noi siamo presenti in quel preciso momento, quanto noi “esistiamo”, nel bel mezzo di una conversazione tra più persone? Voi genitori, avete mai posto attenzione a comprendere se vostro figlio o vostra figlia, riesce a partecipare attivamente a ciò che dicono gli altri bambini e ragazzi? Soprattutto, se con i mezzi comunicativi che è riuscito ad acquisire, riesce a dimostrare che c’è e che “esiste” insieme a loro?

Per mia curiosità, ho letto un libro che riguarda, in genere, il tema della socializzazione. Da questo libro ho potuto apprendere il funzionamento e l’efficacia delle conversazioni, poichè descrive tecniche e strategie di comunicazione ben precise, ad esempio: come inserirsi in modo appropriato in una conversazione, quali domande sono più utili per entrare in comunicazione con l’altro e per sostenere la comunicazione più a lungo, come esercitarsi a prestare attenzione alle parole ma soprattutto al significato. Ciò che conta è il contenuto della conversazione, non lo sforzo di decodifica di ogni singola parola e a volte succede invece, di concentrarsi solo sulla discriminazione. E ancora: come attivare nella mente una “mappa concettuale e lessicale” inerente l’argomento della comunicazione, in modo da essere più pronti, sia a capire sia ad intervenire, a dire la nostra, con coraggio e sicurezza, ad esprimere la nostra personalità!

Ciascuno di noi (bambini, adolescenti ed adulti), ha potuto sviluppare soggettivamente il proprio linguaggio e la propria capacità di discriminazione delle parole, nell’ascolto. Molti di noi, continuano a lavorare al miglioramento di questa discriminazione, con le terapie logopediche che conosciamo: finalizzate prevalentemente ad ottimizzare l’ascolto. Se andate a vedere sul dizionario cosa significa logopedia, troverete scritto: dalle parole greche logos “discorso” e paideia “educazione”: la logopedia è un ramo sanitario che si occupa della prevenzione, dell’educazione e della rieducazione della voce, del linguaggio, scritto e orale, e della comunicazione, in età evolutiva, adulta e geriatrica. Ho fatto presente alla mia logopedista che manca qualcosa nelle terapie che conosciamo, poiché non ci dicono nulla riguardo gli aspetti comunicativi e relazionali: la pragmatica della comunicazione.

Da lei, ho avuto modo di scoprire che in altri Paesi, soprattutto di lingua inglese, esistono già degli studi e delle terapie comunicative che assomigliano molto alle tecniche e strategie riportate nel libro che ho letto. Voi, cosa ne pensate se, oltre all’allenamento acustico, alle stimolazioni linguistiche per ampliare il nostro lessico e per perfezionare la nostra articolazione e la nostra grammatica, avremmo bisogno anche – e forse soprattutto – di un accompagnamento alla comunicazione? Cosa ne pensate se la logopedia si possa estendere anche agli aspetti comunicativi e relazionali?
Io sono un ingegnere, questo non è il mio campo e trovo improprio fornire indicazioni e metodologie da parte mia. La questione sorge, ovviamente, dalla mia esperienza personale che in passato, mi ha visto incontrare notevoli difficoltà a comunicare, quando mi trovavo di fronte a un gruppo di normoudenti. In futuro, spero che i nostri logopedisti, perché in gamba, possano formarsi e mettere in atto le varie tecniche della terapia comunicativa. Prima, però, sarebbe opportuno valutare se questa è una nostra necessità. Se ci sarà un interesse diffuso su queste tematiche, uno dei futuri compiti delle nostre Associazioni, potrebbe essere quello di promuovere e sollecitare l’adozione di questo tipo di terapie, nelle diverse strutture di assistenza. Solo quando più persone saranno a conoscenza di queste nuove metodologie, ci saranno maggiori possibilità che venga sollevata la questione. Oggi, qui in Emilia Romagna, di cui ringrazio ancora il presidente Domenico per avermi invitato, nel vedere così tante persone, seppur in differenti vesti, coinvolte in questa tematica, mi convinco ancora di più che insieme e non individualmente, possiamo affrontare, condividere e superare le diverse problematiche della sordità.

Viribus unitis.



Ing. Nicola Battista – battist83@gmail.com con la collaborazione della logopedista Francesca Feltrin - francescafel@hotmail.com

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