Silenzio
Ci è stato chiesto di descrivere per iscritto le
emozioni che noi, genitori di una bambina sorda, abbiamo provato dal momento in
cui ci è stata rivelata la sordità di nostra figlia. La forma del racconto
scritto in terza persona, pensavo, fosse utile per estraniarsi dalle vicende
vissute e quindi poter contare su di un punto di vista più obiettivo,
distaccato, meno coinvolto. In realtà mi sono ritrovato a scrivere per me
stesso, e provare una certa soddisfazione e utilità nel farlo.
I nomi dei personaggi e dei luoghi sono inventati ma
si potrebbero trovare dei riferimenti a persone e luoghi reali. Il mio
consiglio è di utilizzare questi riferimenti alla realtà come spunto per una
critica costruttiva per migliorare una situazione sicuramente migliorabile,
senza rischiare di incrinare dei rapporti tra persone che comunque danno il
meglio di se stessi in un campo in cui è difficile muoversi: la sfera emotiva.
Inizio
C'è
qualche cosa che non quadra, Anna lo sa. C'è quella sensazione spiacevole che
l'accompagna dal momento in cui quella grassa infermiera ha cacciato il sensore
nell'orecchietta minuscola di Francesca. La piccola Francesca. Un dito di
quell’infermiera era più grosso di un braccio della bimba.
"Deve
ritornare signora perché la sua bambina non ha superato l'esame."
"Quale
esame? " dice Anna "è appena nata e deve già sostenere un esame?
"È
una cosa nuova per capire se è sorda... non si preoccupi..." le hanno spiegato
che spesso non funziona al primo colpo, bisogna riprovarci.
Anna
ci ha riprovato tutte le volte che le hanno detto di farlo. Con l'ansia della
mamma che ha paura di non aver fatto tutto nel migliore dei modi. Di non essere
stata capace di "costruire" le orecchie alla figlia. Con la stessa
ansia con la quale le madri contano le dita dei propri cuccioli appena nati,
ancora sporchi della fatica e del dolore con il quale sono stati scaraventati
al mondo.
Ugo
è abituato a gestire l'ansia di sua moglie, forse troppo abituato per esserle
realmente di aiuto. Forse ha paura anche lui ma non può ammetterlo e, quindi,
non ha paura. Reagisce come sempre: "Mi piacerebbe sapere chi è quel genio
che ha pensato di mettere nella mano di una lanciatrice del peso un apparecchio
microscopico da inserire in un'orecchietta ancora più piccola... per forza non
registra nulla." Prendere la mano di Anna e dire "Speriamo che non ci
siano problemi" forse sarebbe stato meglio, più onesto, più semplice. Lui
non è semplice. Si informa di che esame si tratta, gli spiegano che è basato
sulle otoemissioni, cellule cigliate, orecchio interno, coclea... "Ma chi
se ne frega, tanto mia figlia non è sorda!"
L'apparecchio
infernale non vuole saperne di fare il suo dovere: tranquillizzare due genitori
naturalmente ansiosi.
"Vi
contatteranno per dirvi cosa fare”. “Chi? Quando? ...che cavolo sta
succedendo?”
La
pediatra di base afferma che, secondo lei, è tutto normale, non bisogna
preoccuparsi. Ad Anna non basta: “Non possiamo aspettare che qualcuno ci
telefoni, chissà quando! Che cosa facciamo?” Anna è terrorizzata. Ugo deve mantenere la calma, lui è quello
razionale: "Per me non ci sono problemi, ma se devi vivere con questa
ansia, allora è meglio andare da un medico specialista e toglierti ogni dubbio.
Il marito di Claudia, sai... la logopedista, non è specializzato in
otorinolaringoiatria?
Si
è un otorinolaringoiatra. Come si fa ad esercitare un mestiere che è uno
scioglilingua e farlo con serietà e professionalità impeccabile?
"Francesca
ci sente benissimo! Non dovete preoccuparvi, siate sereni" il medico
specialista toglie ogni dubbio e la parcella sottolinea l'autorevolezza della
diagnosi. "Che sollievo, che stupidi che siamo stati a dubitare che la
nostra bambina potesse essere sorda. Cavolo, come fa una bambina così bella,
così vispa e attenta, essere sorda?"
Eppure
qualche cosa non quadra, Anna lo sente. Francesca fino a qualche mese prima era
parte di se, non può essersi spezzato tutto ciò che le ha tenute unite per nove
mesi. Insieme al cordone ombelicale non può essersi troncato quel feeling
ancestrale che le sta dicendo che qualche cosa non va. "Basta Anna!
Adesso esageri. Ti dico che Francesca sente benissimo! Ti vuoi fidare di quello
che ti dicono?" Ugo ha un ruolo da sostenere, lo ha sempre fatto e non può
sottrarsi proprio adesso.
Dolore
Anna
si informa e scopre che all'ospedale S. Antonio, sanno il fatto loro. Esiste un
metodo infallibile, ma soprattutto utilizzato da persone preparate con una
grande esperienza. Si tratta di: "Audiometria comportamentale". Deve
portare sua figlia in quel posto. Deve azzittire quella vocina fastidiosa.
Audiometria
Comportamentale: due casse di uno stereo, due televisori e una donnina posata,
un po' sulle sue, circondata da apprendiste, tirocinanti, seguaci, ragazzine.
Dieci minuti di BIP BIP e BOP BOP e arriva la prima micidiale randellata allo
stomaco di Ugo e Anna. "Secondo me ci sono dei problemi..." senza
scomporsi, con calma, in modo molto posato, avrebbe potuto dire con lo stesso
tono di voce: "Eh... non ci sono più le mezze stagioni."
"Ma
chi cazzo è questa qui per dire che la mia bambina ha dei problemi! Si sta
sbagliando! Si deve sbagliare. Non è possibile che in dieci minuti di suoni del
cavolo e dando qualche occhiata a Francesca possa avere capito tutto! Se fosse
così, l'otorinolaringoiatra si sarebbe sbagliato completamente. Non è
possibile! Comunque qualcuno si sta sbagliando". Ugo è piegato in due
dalla randellata ma non cede al dolore. È abituato a non mollare, ha un ruolo
da sostenere. Anna è terrorizzata cerca in suo marito delle risposte ma non le
trova. La donnina si scompone un po', l'ultima frase di Ugo è andata a segno,
dice: "È necessario fare almeno un'altra seduta per avere un quadro
completo e poi la dottoressa Bianchi visiterà Francesca e sarà lei a dirvi
com'è la situazione."
Trascorre
una settimana da incubo; Ugo e Anna non ci credono che devono affrontare un
problema così grave, e perché proprio loro. La speranza che la donnina si stia
sbagliando gli impedisce di morire un po', di diventare ancora più adulti di quello che già non vorrebbero
essere.
La
dottoressa Bianchi. Tocca a lei comunicare la brutta notizia, se ne rende conto
e visitando Francesca la chiama "Ranocchietta" come se fosse la sua
nipotina, come se esistesse un qualche rapporto, come se fosse a proprio agio,
come se non dovesse comunicare semplicemente una brutta notizia a due genitori
di una bambina sorda.
"Francesca
è sorda, ma non è mica un dramma, con la logopedia potrebbe riuscire a dire
decentemente anche qualche parolina tra qualche anno. Certo se parlano due
persone nella stessa stanza non potrà capire nulla, la musica non potrà
apprezzarla, se non si parla guardandola in faccia difficilmente potrà capire
qualche cosa, a scuola farà molta fatica, ma ci sono gli insegnanti di
sostegno... signora se la chiama con quel tono di voce non riuscirà mai a farsi
sentire da Francesca." Anna non ha più saliva figuriamoci la voce. Ugo si
limita ad ascoltare quella donna con il camice bianco. Non è più la stessa
donna che chiamava "ranocchietta" la loro bimba. Dentro una stanza,
di spalle, seduto ad una scrivania, un ragazzo in camice bianco, probabilmente
tirocinante. Fa finta di non ascoltare. Fa
caldo. Ugo ha caldo. Anna è imprigionata in un corpo che non le
appartiene, non ha più contatti con la realtà, non sente freddo o caldo, non
sente nulla oltre al dolore. La donna è indaffarata, non potrà dedicare molto
tempo a questo caso: d'altronde è uno dei tanti che passano da quelle
stanze. In realtà, a distanza di tempo, Ugo e Anna non hanno mai capito che
ruolo avesse quella donna con il camice bianco nell'ospedale. Quel giorno però,
Ugo, nonostante la fitta allo stomaco e una sete irreale, nota subito come la
donna riesce a comunicare, parallelamente al manuale d'uso e manutenzione di
una bambina sorda, anche la propria estrazione sociale, la frequentazione di
congressi internazionali, la propria appartenenza alla classe agiata e
culturalmente elevata. Francesca se ne frega, gioca, guarda, ride. Quella donna
le è simpatica. La vede muoversi concitata rivolgersi alla mamma e al papà con
una faccia impassibile anche se muove velocissima la bocca. Chissà perché? Ha
notato spesso che le persone muovono la bocca, aprono e chiudono le labbra...
che strano. Però quando la guarda è divertente, spalanca la bocca offrendole
una palla che tiene in mano muovendola nell'aria davanti a lei con gesti
circolari. È tutta sorrisi, occhi che si dilatano e la fissano e poi sorridono
e di nuovo a fare volare la palla, e d'improvviso, guardano la mamma o il
papà... che strano loro hanno gli occhi lucidi... la mamma ha persino le
lacrime... però che donna buffa questa con la palla.
Anna
e Ugo chiedono spiegazioni al medico che aveva dichiarato: "Francesca è
normo udente" brutto termine per identificare una persona che sente normalmente,
ma suonava così bene quando Anna e Ugo lo hanno sentito dire dal medico,
riferito a Francesca. La speranza che si siano sbagliati è come una droga dalla
quale è difficile liberarsi. Il medico balbetta che la bambina era
troppo piccola per essere precisi, adesso è necessario fari i passi giusti, le
scelte corrette, si prodiga in consigli, anche la moglie logopedista elargisce
consigli professionali, tutto gratis. Ugo non ha la forza di reagire.
Anna
non riesce ad accettare la sordità di Francesca. Il suo rapporto con Ugo,
ultimamente, non si può definire appagante e gli sforzi maldestri di Ugo per
avvicinarsi al mondo dei sordi, e quindi a sua figlia, la irritano, la isolano
nel proprio dolore, le viene tolta l'unica cosa di cui avrebbe più bisogno
adesso: una spalla su cui piangere. Quando Ugo le dice che vorrebbe iscriversi
ad un corso per imparare la lingua dei segni, la lingua dei sordomuti,
per lei è troppo, "Ugo sei il
solito stronzo!"
Anna
comincia a prendere in seria considerazione una soluzione particolarmente
innovativa, ma che sembra funzionare. Qualcuno la chiama "Orecchio
bionico", in realtà il nome corretto è: impianto cocleare. Una speranza
per rendere normale Francesca. Ugo non è convinto, si tratta di ficcare
un bel po' di roba nella testa di sua figlia! Di farla vivere dipendente da una
macchinetta. Non è convinto, ma sa che Anna ha ragione. Le dà carta bianca per
poter fare l'avvocato del diavolo e criticare l'atteggiamento superficiale di
chi decide per la soluzione più semplice, tentare di cancellare il problema: la
sordità. Lui è per l'approccio educativo al problema, non semplicemente
clinico. La strada "oralista" a tutti i costi nasconde rischi
psicologici da tenere in considerazione. Francesca potrebbe un giorno pensare
di non essere stata accettata semplicemente per ciò che è: una persona sorda.
Ugo non è convinto a riguardo dell'impianto, però sa che Anna ha ragione: va
fatto.
Ugo
vuole capire cosa significa essere sordi. Comincia a rendersi conto che
Francesca non potrà sentire il rumore del mare, il ticchettio della pioggia sui
vetri, le parole "ti amo" sussurrate in un orecchio, la musica del
proprio gruppo rock preferito. Vorrebbe poter scambiare le proprie orecchie con
le sue, ormai ha sentito abbastanza, la sua bambina deve ancora sentire tutto.
Delusione, impotenza, rabbia, deve sfogarsi, decide di scrivere una lettera al
medico otorinolaringoiatra e alla moglie logopedista.
dott. Carlo
Cortese,
il titolo davanti al tuo nome presuppone senza
ombra di dubbio una responsabilità. Ti scrivo per esprimere il mio disagio,
delusione e rammarico appellandomi proprio a questa responsabilità di cui tu ti
dovresti fare carico.
Io e Anna ci siamo rivolti a te, in qualità di
Otorinolaringoiatra, per chiarire una situazione che vede come protagonista
nostra figlia Francesca: volevamo stabilire se esistevano i presupposti che
nostra figlia potesse essere sorda. Adesso sappiamo che tu non eri e non sei in
grado di farlo. Avresti dovuto dircelo, ci saremmo rivolti ad altri. A chi, sei
mesi dopo la tua diagnosi sbagliata, a colpo d'occhio (e senza titolo davanti
al nome) ha capito subito che Francesca aveva ed ha problemi di udito,
diagnosticando quasi subito una gravissima ipoacusia neurosensoriale
bilaterale. Tu non solo hai completamente sbagliato la diagnosi, ma hai
sbagliato addirittura paziente. Hai tentato maldestramente di curare l'ansia
più che legittima e giustificata di noi genitori, trascurando palesemente il
motivo per il quale eravamo nel tuo studio e per il quale abbiamo pagato una
parcella.
Ci siamo rivolti a te una seconda volta per avere
un parere/spiegazione per una situazione che ci ha colto completamente
impreparati in parte anche a causa tua. Hai "corretto il tiro" sulla
diagnosi fatta sei mesi prima... nessuna scusa, nessuna ammissione di aver
commesso un errore. È intervenuta anche tua moglie Claudia (logopedista)
consigliandoci di evitare a qualsiasi costo l'impianto cocleare, prodigandosi
in consigli ma nascondendo, neanche troppo bene, un semplice e giustificato
imbarazzo.
Abbiamo perso sei mesi di logopedia, di utilizzo
di protesi, abbiamo dovuto posticipare l'inizio di un processo lungo, faticoso
e doloroso di accettazione della sordità di nostra figlia. Abbiamo, ora, deciso
per l'impianto cocleare, mi sono contemporaneamente iscritto ad un corso di
Lingua Italiana dei Segni. Abbiamo capito (o comunque stiamo tentando di farlo)
che cosa significa essere sordi, quali sono le complicazioni psicologiche di
chi, sordo prelabiale, deve investire tempo infinito e impegno oltre ogni
immaginazione per riuscire a pronunciare una parola con il semplice aiuto di
protesi tradizionali, di quali sono i disagi di un adolescente che proviene da
un'infanzia di questo tipo. Abbiamo letto libri abbiamo parlato con i sordi, mi
sono iscritto alle loro associazioni, stiamo imparando a comunicare con loro.
Abbiamo spostato il problema della sordità di Francesca da un puro e semplice
approccio clinico ad un approccio più ampio: educativo. Ci siamo resi conto che
esiste un mondo di ignoranza nei confronti della sordità. Mi sono reso conto
che tu e Claudia ne fate parte.
Questo ultimo aspetto, forse, è il vero motivo
della mia lettera. Sappi che la responsabilità di cui ti dovresti fare carico
nei confronti di chi si rivolge a te per farsi aiutare è importante, per tua
scelta, non penso che nessuno ti abbia obbligato a fare il medico. Forse
sarebbe opportuno che riconoscessi i tuoi limiti in tempo utile per evitare di
confondere cure mediche, psicologia spiccia, addirittura paziente. L'approccio
del medico che deve ostentare sicurezza a tutti i costi deve essere aggiornato.
I pazienti non sono stupidi. Hanno bisogno di capire, hanno la possibilità di
farlo e dimostrano di saperlo fare. Ti consiglio di aggiornarti ma soprattutto
di avere l'onestà, la modestia e l'intelligenza per consigliare di rivolgersi
ad altri quando riconosci di non essere in grado di aiutare chi te lo chiede.
Con la speranza che possa essere di aiuto, non
tanto a te ma a chi si rivolgerà a te perché nella necessità di essere aiutato.
(To be continued...)