Monday, December 14, 2009

"Sentire o non sentire, questo è il dilemma"


Ho trovato quest'articolo molto bello nel Messaggero di Sant'Antonio...per caso.
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...Terapie. L’orecchio bionico e i dispositivi anti sordità

Gli impianti cocleari hanno restituito la speranza di tornare a sentire alle persone affette dalle sordità più gravi.

Il padre dell’orecchio bionico, a ben guardare, è stato addirittura Alessandro Volta. Mentre sperimentava la pila che lo ha reso noto, avvicinando i fili elettrici ai lati della testa, il famoso scienziato registrò nei suoi diari di aver avvertito non solo una scossa, ma anche dei suoni. È su questa osservazione, adeguata alle conoscenze di oggi, che si basano gli impianti cocleari, i dispositivi che hanno restituito la speranza di tornare a sentire alle persone affette dalle sordità più gravi, presenti alla nascita o acquisite nel corso della vita per varie ragioni, genetiche o accidentali. «Sono costituiti da due parti – spiega il professor Diego Zanetti, responsabile del programma degli impianti cocleari alla clinica otorinolaringoiatrica dell’Università di Brescia –. Una si applica all’esterno, l’altra è impiantata dal chirurgo in profondità nell’orecchio interno, da dove trasmette al nervo acustico i suoni sotto forma di impulsi elettrici».

Questi interventi, molto costosi sebbene coperti dal sistema sanitario nazionale, sono riservati ai casi più gravi ed eseguiti solo in centri specializzati. Nella maggioranza dei casi, alla perdita di udito si può ovviare con dispositivi che si limitano ad amplificare i suoni elaborandoli, da indossare all’esterno (i classici apparecchi acustici) oppure da inserire in parte o in toto nell’orecchio, tramite un intervento chirurgico meno invasivo di quello necessario per gli impianti cocleari (protesi semi-impiantabili).

«Purtroppo, in tutto il mondo, solo una minoranza delle persone che ne avrebbero bisogno portano gli apparecchi acustici – commenta il professor Cuda –. Nei Paesi più poveri il problema può essere il costo, ma anche in quelli più avanzati la quota di chi li utilizza non supera il 30 per cento». Ciò in passato dipendeva dal fatto che questi strumenti, pur utili, potevano essere molto fastidiosi, amplificando anche i rumori di sottofondo oltre ai suoni e alle parole. «Oggi però sono tutti digitali e, se applicati non appena il disturbo si presenta, possono dare ottimi risultati». Inoltre, anche dal punto di vista estetico, si è fatto tutto il possibile per renderli quasi invisibili. Una parte esterna, comunque, resta anche nelle protesi semi-impiantabili: «Si applicano con una calamita, mentre la componente inserita nell’orecchio medio con l’intervento chirurgico permette di ottenere un segnale meno distorto rispetto agli apparecchi esterni». Questa metodica è utilizzata da una decina di anni, per cui ormai se ne conoscono bene limiti e vantaggi.
«Ancora ai primi passi invece sono i dispositivi totalmente impiantabili all’interno dell’orecchio» aggiunge Zanetti. Una soluzione che può sembrare senz’altro preferibile soprattutto per chi accetta malvolentieri la presenza di un apparecchio, per quanto ridotto, visibile all’esterno. «Con questi, invece, non ci sono parti visibili e pure la pila può essere ricaricata dall’esterno pur restando dentro l’orecchio» dice Cuda. I vantaggi sono anche pratici: per esempio la protesi non deve essere tolta quando si dorme o si va in acqua. «Ma ci sono anche degli inconvenienti – puntualizza Cuda –. A oggi sono disponibili due modelli: uno prevede un microfono sottopelle, che al contatto può scatenare rumori fastidiosi; con l’altro bisogna asportare chirurgicamente uno degli ossicini che trasmette il suono dalla membrana timpanica all’orecchio interno. L’apparecchio lo va a sostituire, ma se per qualunque ragione in un secondo tempo bisogna rimuoverlo, alla sordità di base si andrà ad aggiungere quella provocata dalla nuova menomazione». Questi prototipi non sono ancora coperti dal servizio sanitario nazionale.
Ogni soluzione, quindi, ha i suoi pro e i suoi contro, che vanno discussi nei singoli casi tra medico e paziente. «Allo stesso modo – conclude Cuda – non esiste una soglia oltre la quale si raccomanda l’uso dell’apparecchio o un intervento: ogni persona, in relazione alla sua attività professionale o al suo stile di vita, può trovare più o meno tollerabile un difetto dell’udito di qualsiasi entità esso sia. È quindi dal colloquio tra medico e paziente che emerge la migliore strategia individuale».

2 comments:

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Dominiquerjwe said...

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