Parte Terza: “Ri-arredare la casa”
Sono passati tre mesi dalla prima accensione dell’impianto, ed ecco il resoconto delle nostre impressioni. Avevamo concluso la prima puntata con lo shock -a modo suo affascinante- della prima attivazione, e la seconda con l’analisi dei primi suoni percepiti.
Adesso in questa terza fase ci avviciniamo di più all’osservazione dei suoni. Sarebbe bello dire che “ormai si è arrivati alla conversazione telefonica” oppure “non c’è problema ad ascoltare la radio”, ma siamo ancora molto, molto lontano da questi livelli…sperando di arrivarci.
In realtà in questo momento l’attenzione è concentrata sull’osservazione dei suoni, per riuscire ad ottenere in seguito la comprensione.
Osservare per comprendere. Prestare attenzione, per capire.
Ricapitoliamo brevemente: eravamo rimasti all’impianto cocleare che permette di sentire i suoni come se fossero le voci dei cartoni animati (sensazione dovuta al fatto che ai suoni gravi si aggiungono adesso i suoni acuti). Adesso andiamo oltre. Avviciniamoci a questi suoni e indaghiamo meglio quali sono le differenze tra i suoni uditi con l’impianto e senza impianto (ovvero solo con protesi), relativamente ai suoni più importanti: le parole.
Innanzitutto, come fare per “sentire le parole”, per notare le differenze tra apparecchio acustico e impianto cocleare?? Un metodo semplice ed efficace è quello di ascoltare frasi di cui si conoscono in anticipo le singole parole, prima solo con l’apparecchio acustico, e successivamente solo con l’impianto cocleare, facendo così un confronto. Un buon esempio è L’Infinito di Leopardi, di cui si trovano su internet diverse tracce audio. “Sempre caro mi fu quest’ermo colle….” eccetera . E’ importante sapere in anticipo le parole che verranno pronunciate, per poter consentire l’accostamento tra il suono e la parola che verrà pronunciata. In mancanza di lunghi testi, o se si vuol cominciare con qualcosa di più facile, basta farsi ripetere (o registrare su nastro) da una persona volenterosa frasi anche molto semplici come ad esempio “L’albero ha il tronco e le foglie”, o simili, ovviamente annotando le frasi su un foglio.
Insomma: bisogna ascoltare la frase “L’albero ha il tronco e le foglie” sapendo in anticipo che sarà proprio quella la frase ad essere pronunciata.
Tutto questo, con il motivo preciso di “sentire” come è fatto il suono della parola “albero”, foglie”, “tronco”, eccetera.
E qui dopo un po’ di pratica ci rendiamo conto delle grandi differenze tra impianto cocleare e protesi tradizionale, una differenza che va al di là del semplice concetto di pulizia del suono e di grave/acuto. Intendiamoci: il fatto che il suono arrivi direttamente dentro la testa senza nessun disturbo, filtro, smorzamento, o sbavatura, già di per sé costituisce un grosso vantaggio.
Ma non si tratta solo di questo: mentre con la protesi la singola parola è costituita da due o tre frammenti sonori (spesse volte coincidenti con le sillabe), con l’impianto cocleare la singola parola può essere costituita da sette, otto, dieci frammenti sonori. Detto in altre parole, la differenza tra protesi acustica ed impianto cocleare è che quest’ultimo fa percepire una maggior quantità di informazioni (oltre che in maniera più pulita).
Con la protesi la parola “albero” viene udita come un qualcosa che potrebbe essere vagamente qualcosa come “ah-he-ho”, con l’impianto cocleare si sentono invece una quantità di suoni/frammenti sonori assai maggiore.
Ehi, quella lì è una “elle”. E quell’altra è una “bi”. E senti un pò come si sente bene la “erre”……e quindi in totale che viene fuori?
Viene fuori “A L B E R O”.
E qui abbiamo fatto centro: se una parola è fatta di tanti frammenti sonori, sarà, con il dovuto allenamento (ripeto: con il dovuto allenamento!), più comprensibile della stessa parola fatta di soli due o tre frammenti.
Torniamo all’esempio dell’albero. Se “albero” viene percepito con la protesi acustica “ah-he-ho”, come accidenti possiamo sapere che si tratta proprio di “albero”? Ovviamente non si può. Ma è proprio questo il motivo per cui si ricorre alla lettura labiale: frammenti di suoni + movimento delle labbra = ricostruzione della parola pronunciata.
Ma ecco che con l’impianto cocleare si sentono tanti frammenti sonori in più. Potenzialmente quindi non avremmo nemmeno più bisogno di dover guardare le labbra di una persona mentre parla.
Però ci troviamo di fronte a un ostacolo immenso: rimettere a posto i pezzi, far sì che a “quel” particolare frammento sonoro venga attribuito un significato. E come si fa? In questo caso la soluzione è una sola: allenamento, allenamento, e ancora allenamento.
Abbiamo quindi capito una cosa: e cioè che l’impianto cocleare è, fondamentalmente, una questione di pazienza infinita.
E’ simile alla composizione di un puzzle: quando avevamo la protesi acustica vi erano a disposizione solo pochi pezzi, e con quelli dovevamo ricostruire l’immagine dell’intero puzzle, e ci dovevano bastare (non per avere l’intera immagine, attenzione! Ma solo per capirne almeno il senso). Adesso invece con l’impianto cocleare abbiamo a disposizione molti più pezzi, e almeno in teoria la ricomposizione dell’immagine finale è più semplice, e, forse, completa.
Il problema è che queste nuove tessere del puzzle sono di tipo completamente diverso da quelle precedenti; riusciremo a farci l’abitudine?
Insomma, un gioco di pazienza cercando di ricostruire un’immagine sonora. Questa è la conclusione alla quale è arrivato il sottoscritto, ed è la conclusione sulla quale non si trovano d’accordo i genitori dei bambini piccoli con impianto cocleare, in quanto la tipologia di problemi è completamente differente, differente anche la maniera di reagire, di relazionarsi, eccetera. Ne convengo: io devo fare un faticoso lavoro di ricostruzione della casa, buttando giù l’intero edificio, i bambini piccoli no, cominciano da zero a edificare il palazzo, e procedono, pare, speditamente. D’altro canto io ho la memoria dei suoni e delle parole, ovvero l’arredamento della casa è già pronto, e loro no, devono acquistare l’arredamento della propria casa giorno dopo giorno.
Al che si arriva alla conclusione che la “sordità” non è mai generalizzabile, bensì un qualcosa che va valutata “caso per caso”.
Leggendo queste righe mi vien quasi da sorridere: si sta in pratica affermando che le parole sono fatte da segmenti sonori che si susseguono velocissimi, e sentire questi frammenti, e capire la loro disposizione (prima l’uno poi l’altro), permette il riconoscimento delle parole. La scoperta dell’acqua calda!
Ma una cosa è sapere le cose perché altri te le hanno dette, un’altra cosa è invece scoprirle, viverle, rendersene conto di persona.
E la cosa è importante perché riuscendo finalmente a inquadrare il problema con precisione, riesci anche a gettare le basi per la sua soluzione.
Tutto questo per capire che il segreto della comprensione è proprio qui: riuscire a mettere insieme i frammenti sonori che adesso si sentono, e prima sfuggivano completamente.
E’ spaventoso ascoltare l’Infinito di Leopardi (o altra poesia) inizialmente con protesi acustica e impianto contemporaneamente, e poi spegnere improvvisamente l’impianto in maniera volontaria. Rimane in funzione la protesi, e all’istante ci si accorge di come in pratica si riesca a percepire nulla più che un brusio di sottofondo. I suoni acuti, le sonorità extra sono cancellate di colpo.
Facendo l’inverso, spegnendo la protesi, vengono a mancare i suoni più “gravi”, e i suoni che si percepiscono sembrano spostati prevalentemente sugli acuti, fermo restando che la quantità di suono (non il volume sonoro, attenzione) è enormemente superiore.
E quindi… allenamento quotidiano. Lavoro faticoso, e ogni giorno che passa capisco sempre più il senso della frase “Lavora, pelandrone! Sei vecchio, e dovrai lavorare più degli altri per avere risultati”.
Gambe in spalla e pedalare! Ogni giorno almeno due ore di esercizi. Ascolto della radio, ascolto della televisione. Musica. Ascolto di frasi prestabilite. E poi, dialoghi con altre persone, rumori del traffico, immersione nella vita quotidiana. E’ paradossale che la cosa da evitare ora, è proprio il silenzio.
Un gioco di pazienza infinita. E mi domando: quanti di noi hanno la pazienza necessaria? Qui si parla di mesi e mesi e mesi, ma soprattutto si parla di una età che non è più quella dell’infanzia o adolescenza.
Ecco, se devo dire come mi sento adesso, mi sento come quella persona che rientra a casa e la ritrova completamente sottosopra. Non manca nulla, non sono entrati i ladri. Semplicemente nulla è più al posto di prima. Dove sono finiti gli oggetti?
Scopro che i piatti sono finiti sotto al divano. Il dentifricio è sotto il lavello della cucina. Il sapone è dentro il frigorifero. I bicchieri sono dentro la vasca da bagno. I libri sono accatastati in giardino. Le cravatte sono nel freezer.
Non c’è più un solo oggetto, che sia uno!, ad essere al suo posto. Devo recuperarli tutti e rimetterli al loro posto. Questo cosa è? Un bicchiere. E dove va messo? In cucina.
E queste cosa sono? Cravatte. E dove dovrebbero stare ? Appese nell’armadio.
E così per tutti gli oggetti….
“Lavora pelandrone!”.
Scritto da Andrea Pietrini