Tuesday, May 28, 2013

Il racconto di un padre: Parte I


Silenzio

Ci è stato chiesto di descrivere per iscritto le emozioni che noi, genitori di una bambina sorda, abbiamo provato dal momento in cui ci è stata rivelata la sordità di nostra figlia. La forma del racconto scritto in terza persona, pensavo, fosse utile per estraniarsi dalle vicende vissute e quindi poter contare su di un punto di vista più obiettivo, distaccato, meno coinvolto. In realtà mi sono ritrovato a scrivere per me stesso, e provare una certa soddisfazione e utilità nel farlo.

I nomi dei personaggi e dei luoghi sono inventati ma si potrebbero trovare dei riferimenti a persone e luoghi reali. Il mio consiglio è di utilizzare questi riferimenti alla realtà come spunto per una critica costruttiva per migliorare una situazione sicuramente migliorabile, senza rischiare di incrinare dei rapporti tra persone che comunque danno il meglio di se stessi in un campo in cui è difficile muoversi: la sfera emotiva.

Inizio

C'è qualche cosa che non quadra, Anna lo sa. C'è quella sensazione spiacevole che l'accompagna dal momento in cui quella grassa infermiera ha cacciato il sensore nell'orecchietta minuscola di Francesca. La piccola Francesca. Un dito di quell’infermiera era più grosso di un braccio della bimba.

"Deve ritornare signora perché la sua bambina non ha superato l'esame."

"Quale esame? " dice Anna "è appena nata e deve già sostenere un esame?

"È una cosa nuova per capire se è sorda... non si preoccupi..." le hanno spiegato che spesso non funziona al primo colpo, bisogna riprovarci.

Anna ci ha riprovato tutte le volte che le hanno detto di farlo. Con l'ansia della mamma che ha paura di non aver fatto tutto nel migliore dei modi. Di non essere stata capace di "costruire" le orecchie alla figlia. Con la stessa ansia con la quale le madri contano le dita dei propri cuccioli appena nati, ancora sporchi della fatica e del dolore con il quale sono stati scaraventati al mondo.

Ugo è abituato a gestire l'ansia di sua moglie, forse troppo abituato per esserle realmente di aiuto. Forse ha paura anche lui ma non può ammetterlo e, quindi, non ha paura. Reagisce come sempre: "Mi piacerebbe sapere chi è quel genio che ha pensato di mettere nella mano di una lanciatrice del peso un apparecchio microscopico da inserire in un'orecchietta ancora più piccola... per forza non registra nulla." Prendere la mano di Anna e dire "Speriamo che non ci siano problemi" forse sarebbe stato meglio, più onesto, più semplice. Lui non è semplice. Si informa di che esame si tratta, gli spiegano che è basato sulle otoemissioni, cellule cigliate, orecchio interno, coclea... "Ma chi se ne frega, tanto mia figlia non è sorda!"

L'apparecchio infernale non vuole saperne di fare il suo dovere: tranquillizzare due genitori naturalmente ansiosi.

"Vi contatteranno per dirvi cosa fare”. “Chi? Quando? ...che cavolo sta succedendo?”

La pediatra di base afferma che, secondo lei, è tutto normale, non bisogna preoccuparsi. Ad Anna non basta: “Non possiamo aspettare che qualcuno ci telefoni, chissà quando! Che cosa facciamo?” Anna è terrorizzata.  Ugo deve mantenere la calma, lui è quello razionale: "Per me non ci sono problemi, ma se devi vivere con questa ansia, allora è meglio andare da un medico specialista e toglierti ogni dubbio. Il marito di Claudia, sai... la logopedista, non è specializzato in otorinolaringoiatria?

Si è un otorinolaringoiatra. Come si fa ad esercitare un mestiere che è uno scioglilingua e farlo con serietà e professionalità impeccabile?

"Francesca ci sente benissimo! Non dovete preoccuparvi, siate sereni" il medico specialista toglie ogni dubbio e la parcella sottolinea l'autorevolezza della diagnosi. "Che sollievo, che stupidi che siamo stati a dubitare che la nostra bambina potesse essere sorda. Cavolo, come fa una bambina così bella, così vispa e attenta, essere sorda?"

Eppure qualche cosa non quadra, Anna lo sente. Francesca fino a qualche mese prima era parte di se, non può essersi spezzato tutto ciò che le ha tenute unite per nove mesi. Insieme al cordone ombelicale non può essersi troncato quel feeling ancestrale che le sta dicendo che qualche cosa non va. "Basta Anna! Adesso esageri. Ti dico che Francesca sente benissimo! Ti vuoi fidare di quello che ti dicono?" Ugo ha un ruolo da sostenere, lo ha sempre fatto e non può sottrarsi proprio adesso.

Dolore

Anna si informa e scopre che all'ospedale S. Antonio, sanno il fatto loro. Esiste un metodo infallibile, ma soprattutto utilizzato da persone preparate con una grande esperienza. Si tratta di: "Audiometria comportamentale". Deve portare sua figlia in quel posto. Deve azzittire quella vocina fastidiosa.

Audiometria Comportamentale: due casse di uno stereo, due televisori e una donnina posata, un po' sulle sue, circondata da apprendiste, tirocinanti, seguaci, ragazzine. Dieci minuti di BIP BIP e BOP BOP e arriva la prima micidiale randellata allo stomaco di Ugo e Anna. "Secondo me ci sono dei problemi..." senza scomporsi, con calma, in modo molto posato, avrebbe potuto dire con lo stesso tono di voce: "Eh... non ci sono più le mezze stagioni."

"Ma chi cazzo è questa qui per dire che la mia bambina ha dei problemi! Si sta sbagliando! Si deve sbagliare. Non è possibile che in dieci minuti di suoni del cavolo e dando qualche occhiata a Francesca possa avere capito tutto! Se fosse così, l'otorinolaringoiatra si sarebbe sbagliato completamente. Non è possibile! Comunque qualcuno si sta sbagliando". Ugo è piegato in due dalla randellata ma non cede al dolore. È abituato a non mollare, ha un ruolo da sostenere. Anna è terrorizzata cerca in suo marito delle risposte ma non le trova. La donnina si scompone un po', l'ultima frase di Ugo è andata a segno, dice: "È necessario fare almeno un'altra seduta per avere un quadro completo e poi la dottoressa Bianchi visiterà Francesca e sarà lei a dirvi com'è la situazione."

Trascorre una settimana da incubo; Ugo e Anna non ci credono che devono affrontare un problema così grave, e perché proprio loro. La speranza che la donnina si stia sbagliando gli impedisce di morire un po', di diventare ancora  più adulti di quello che già non vorrebbero essere.

La dottoressa Bianchi. Tocca a lei comunicare la brutta notizia, se ne rende conto e visitando Francesca la chiama "Ranocchietta" come se fosse la sua nipotina, come se esistesse un qualche rapporto, come se fosse a proprio agio, come se non dovesse comunicare semplicemente una brutta notizia a due genitori di una bambina sorda.

"Francesca è sorda, ma non è mica un dramma, con la logopedia potrebbe riuscire a dire decentemente anche qualche parolina tra qualche anno. Certo se parlano due persone nella stessa stanza non potrà capire nulla, la musica non potrà apprezzarla, se non si parla guardandola in faccia difficilmente potrà capire qualche cosa, a scuola farà molta fatica, ma ci sono gli insegnanti di sostegno... signora se la chiama con quel tono di voce non riuscirà mai a farsi sentire da Francesca." Anna non ha più saliva figuriamoci la voce. Ugo si limita ad ascoltare quella donna con il camice bianco. Non è più la stessa donna che chiamava "ranocchietta" la loro bimba. Dentro una stanza, di spalle, seduto ad una scrivania, un ragazzo in camice bianco, probabilmente tirocinante. Fa finta di non ascoltare. Fa  caldo. Ugo ha caldo. Anna è imprigionata in un corpo che non le appartiene, non ha più contatti con la realtà, non sente freddo o caldo, non sente nulla oltre al dolore. La donna è indaffarata, non potrà dedicare molto tempo a questo caso: d'altronde è uno dei tanti che passano da quelle stanze. In realtà, a distanza di tempo, Ugo e Anna non hanno mai capito che ruolo avesse quella donna con il camice bianco nell'ospedale. Quel giorno però, Ugo, nonostante la fitta allo stomaco e una sete irreale, nota subito come la donna riesce a comunicare, parallelamente al manuale d'uso e manutenzione di una bambina sorda, anche la propria estrazione sociale, la frequentazione di congressi internazionali, la propria appartenenza alla classe agiata e culturalmente elevata. Francesca se ne frega, gioca, guarda, ride. Quella donna le è simpatica. La vede muoversi concitata rivolgersi alla mamma e al papà con una faccia impassibile anche se muove velocissima la bocca. Chissà perché? Ha notato spesso che le persone muovono la bocca, aprono e chiudono le labbra... che strano. Però quando la guarda è divertente, spalanca la bocca offrendole una palla che tiene in mano muovendola nell'aria davanti a lei con gesti circolari. È tutta sorrisi, occhi che si dilatano e la fissano e poi sorridono e di nuovo a fare volare la palla, e d'improvviso, guardano la mamma o il papà... che strano loro hanno gli occhi lucidi... la mamma ha persino le lacrime... però che donna buffa questa con la palla.

Anna e Ugo chiedono spiegazioni al medico che aveva dichiarato: "Francesca è normo udente" brutto termine per identificare una persona che sente normalmente, ma suonava così bene quando Anna e Ugo lo hanno sentito dire dal medico, riferito a Francesca. La speranza che si siano sbagliati è come una droga dalla quale è difficile liberarsi. Il medico balbetta che la bambina era troppo piccola per essere precisi, adesso è necessario fari i passi giusti, le scelte corrette, si prodiga in consigli, anche la moglie logopedista elargisce consigli professionali, tutto gratis. Ugo non ha la forza di reagire.

Anna non riesce ad accettare la sordità di Francesca. Il suo rapporto con Ugo, ultimamente, non si può definire appagante e gli sforzi maldestri di Ugo per avvicinarsi al mondo dei sordi, e quindi a sua figlia, la irritano, la isolano nel proprio dolore, le viene tolta l'unica cosa di cui avrebbe più bisogno adesso: una spalla su cui piangere. Quando Ugo le dice che vorrebbe iscriversi ad un corso per imparare la lingua dei segni, la lingua dei sordomuti, per lei è troppo,  "Ugo sei il solito stronzo!"

Anna comincia a prendere in seria considerazione una soluzione particolarmente innovativa, ma che sembra funzionare. Qualcuno la chiama "Orecchio bionico", in realtà il nome corretto è: impianto cocleare. Una speranza per rendere normale Francesca. Ugo non è convinto, si tratta di ficcare un bel po' di roba nella testa di sua figlia! Di farla vivere dipendente da una macchinetta. Non è convinto, ma sa che Anna ha ragione. Le dà carta bianca per poter fare l'avvocato del diavolo e criticare l'atteggiamento superficiale di chi decide per la soluzione più semplice, tentare di cancellare il problema: la sordità. Lui è per l'approccio educativo al problema, non semplicemente clinico. La strada "oralista" a tutti i costi nasconde rischi psicologici da tenere in considerazione. Francesca potrebbe un giorno pensare di non essere stata accettata semplicemente per ciò che è: una persona sorda. Ugo non è convinto a riguardo dell'impianto, però sa che Anna ha ragione: va fatto.

Ugo vuole capire cosa significa essere sordi. Comincia a rendersi conto che Francesca non potrà sentire il rumore del mare, il ticchettio della pioggia sui vetri, le parole "ti amo" sussurrate in un orecchio, la musica del proprio gruppo rock preferito. Vorrebbe poter scambiare le proprie orecchie con le sue, ormai ha sentito abbastanza, la sua bambina deve ancora sentire tutto. Delusione, impotenza, rabbia, deve sfogarsi, decide di scrivere una lettera al medico otorinolaringoiatra e alla moglie logopedista.

dott. Carlo Cortese,

il titolo davanti al tuo nome presuppone senza ombra di dubbio una responsabilità. Ti scrivo per esprimere il mio disagio, delusione e rammarico appellandomi proprio a questa responsabilità di cui tu ti dovresti fare carico.

Io e Anna ci siamo rivolti a te, in qualità di Otorinolaringoiatra, per chiarire una situazione che vede come protagonista nostra figlia Francesca: volevamo stabilire se esistevano i presupposti che nostra figlia potesse essere sorda. Adesso sappiamo che tu non eri e non sei in grado di farlo. Avresti dovuto dircelo, ci saremmo rivolti ad altri. A chi, sei mesi dopo la tua diagnosi sbagliata, a colpo d'occhio (e senza titolo davanti al nome) ha capito subito che Francesca aveva ed ha problemi di udito, diagnosticando quasi subito una gravissima ipoacusia neurosensoriale bilaterale. Tu non solo hai completamente sbagliato la diagnosi, ma hai sbagliato addirittura paziente. Hai tentato maldestramente di curare l'ansia più che legittima e giustificata di noi genitori, trascurando palesemente il motivo per il quale eravamo nel tuo studio e per il quale abbiamo pagato una parcella.

Ci siamo rivolti a te una seconda volta per avere un parere/spiegazione per una situazione che ci ha colto completamente impreparati in parte anche a causa tua. Hai "corretto il tiro" sulla diagnosi fatta sei mesi prima... nessuna scusa, nessuna ammissione di aver commesso un errore. È intervenuta anche tua moglie Claudia (logopedista) consigliandoci di evitare a qualsiasi costo l'impianto cocleare, prodigandosi in consigli ma nascondendo, neanche troppo bene, un semplice e giustificato imbarazzo.

Abbiamo perso sei mesi di logopedia, di utilizzo di protesi, abbiamo dovuto posticipare l'inizio di un processo lungo, faticoso e doloroso di accettazione della sordità di nostra figlia. Abbiamo, ora, deciso per l'impianto cocleare, mi sono contemporaneamente iscritto ad un corso di Lingua Italiana dei Segni. Abbiamo capito (o comunque stiamo tentando di farlo) che cosa significa essere sordi, quali sono le complicazioni psicologiche di chi, sordo prelabiale, deve investire tempo infinito e impegno oltre ogni immaginazione per riuscire a pronunciare una parola con il semplice aiuto di protesi tradizionali, di quali sono i disagi di un adolescente che proviene da un'infanzia di questo tipo. Abbiamo letto libri abbiamo parlato con i sordi, mi sono iscritto alle loro associazioni, stiamo imparando a comunicare con loro. Abbiamo spostato il problema della sordità di Francesca da un puro e semplice approccio clinico ad un approccio più ampio: educativo. Ci siamo resi conto che esiste un mondo di ignoranza nei confronti della sordità. Mi sono reso conto che tu e Claudia ne fate parte.

Questo ultimo aspetto, forse, è il vero motivo della mia lettera. Sappi che la responsabilità di cui ti dovresti fare carico nei confronti di chi si rivolge a te per farsi aiutare è importante, per tua scelta, non penso che nessuno ti abbia obbligato a fare il medico. Forse sarebbe opportuno che riconoscessi i tuoi limiti in tempo utile per evitare di confondere cure mediche, psicologia spiccia, addirittura paziente. L'approccio del medico che deve ostentare sicurezza a tutti i costi deve essere aggiornato. I pazienti non sono stupidi. Hanno bisogno di capire, hanno la possibilità di farlo e dimostrano di saperlo fare. Ti consiglio di aggiornarti ma soprattutto di avere l'onestà, la modestia e l'intelligenza per consigliare di rivolgersi ad altri quando riconosci di non essere in grado di aiutare chi te lo chiede.

Con la speranza che possa essere di aiuto, non tanto a te ma a chi si rivolgerà a te perché nella necessità di essere aiutato.

 Ugo
 
(To be continued...)

 

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